VISITARE LA MINIERA DI VALLEZZA CON LA SCUOLA

La visita del Mu.PE, la miniera petrolifera di Vallezza è opportunità didattica di apprendere una tradizione storica dell'industria petrolifera. Conoscere i luoghi e i metodi di perforazione ed estrazione petrolifera ai tempi dei pionieri del Petrolio, significa approfondire un momento importante dell'industria italiana degli albori, quando petrolio e gas si estraeveno con metodi quasi artigianali e la ricerca geosismica muoveva i primi passi.
Per motivi legati al clima e a un agevole accesso all'area è consigliabile prevedere la visita al sito petrolifero e al borgo dei minatori nei mesi autunnali (settembre - ottobre) o primaverili (aprile - giugno). 

1) Visita virtuale al tavolo multimediale "Verso un museo del petrolio". presso l'ufficio turistico di Fornovo (30-45 minuti)

Il dispositivo interattivo, che può essere esplorato "toccando" il monitor e percorrendo la storia, le tecniche, i luoghi del petrolio, riporta gli studenti ai tempi dei pionieri italiani del petrolio. Attraverso immagini, testimonianze filmate, documentari storici dell'istituto luce e rari documenti d'archivio provenienti da collezioni private, si apprende la storia della miniera di Vallezza, un modello delle tecniche di ricerca e di estrazione del petrolio oltre un secolo fa. Tre giochi interattivi permettono di imparare, divertendosi, le principali tecniche di esplorazione del passato, con sonde a percussione e secolo con l'innovativo metodo "Rotary", ma anche la tecnica di estrazione centralizzata. Un unicum nella storia della perforazione.

2) Visita al Cantiere della Miniera (10 minuti in auto dal centro di Fornovo + visita di circa 45 minuti)
Dove si possono esplorare i macchinari e ciò che resta degli edifici per la realizzazione dei principali pezzi meccanici per la perforazione e l'estrazione del Petrolio nel passato

3) Esperienza didattica alla Centrale n.3 (20 minuti in auto dal Cantiere, passeggiata e visita circa 30minuti)
La visita prosegue nel bosco, alla visita di un documento probabilmente unico al mondo del metodo di estrzione centralizzata. Ideato e realizzato nelle miniere di Vallezza e di Salsomaggiore. 

4) Materiale didattico
L'Università di Parma (laboratorio di ricerca Architettura Musei Reti), ha elaborato documenti per l'approfondimento didattico che possono essere messi a disposizione di docenti e studenti. Si consiglia comunque di preparare la visita sfogliando il sit internet www.museodelpetrolio.it che contiene materiale informativo e qualche strumento formativo. Per richieste specifiche di approfondimento contattare il laboratorio di ricerca o direttamente This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it. 

 

 

 

Nella miniera di Vallezza si possono osservare testimonianze dei metodi storici di estrazione petrolifera. In particolare è possibile esplorare i macchinari che permettevano l'estrazione petrolifera con Pompa o Cavalletto singolo,  secondo un metodo diffuso in tutto il mondo, ma anche il metodo di estrazione centralizzato. Quest'ultimo è un metodo estrattivo di cui esiste testimonianza soltanto a Vallezza, e rappresenta una unicità nel panorama dell'esposizione storica degli idrocarburi.

CP 008Il sistema con cavalletto singolo

Si tratta del sistema estrattivo più semplice e più diffuso di estrazione petrolifera nel passato. Il cavalletto è costituito da una pompa volumetrica a pistone, che viene installata direttamente sul pozzo per estrarre il liquido quando la pressione non è sufficiente a portarlo in superficie.

La pompa veniva azionata da un motore singolo che veniva installato in prossimità del pozzo e aveva la sola funzione di movimentare il cavalletto permettendo l'estrazione. A Vallezza questa tipologia di impianti viene utilizzata nei primi anni di gestione della Società petrolifera, ma poi viene progressivamente abbandonata in favore del metodo di perforazione centralizzato, che permetteva di economizzare sia sui macchinari e sul carburante, sia sul lavoro degli operai, che concentravano il loro lavoro nella gestione e nella manutenzione di tre sole centrali.

Il sistema di estrazione con cavalletto singolo viene tuttavia utilizzato ancora fino alla chiusura della miniera, nei casi in cui il pozzo era troppo lontano dalle centrali oppure le asperità del terreno impedivano il corretto collegamento tra la centrale e il sito del pozzo.

Il sistema estrattivo centralizzato 

A Vallezza si trovano ancora le testimonianze di un metodo estrattivo del petrolio meccanico e centralizzato. La tecnica, completamente realizzata in loco, risulta una unicità nel panorama estrattivo del XX secolo. I pozzi sparsi lungo la vallata erano dotati di un sistema di pompe per l’estrazione e di un cavalletto metallico che le azionava. Esse erano collegate, attraverso a barre, cavi e ganci in tensione ad una struttura centrale composta da un motore alimentato a gasolio e una grande ruota eccentrica. Collegando, a turno, i diversi pozzi alla centrale di pompaggio era possibile estrarre petrolio da almeno 6 pozzi contemporaneamente, mentre ciascuna delle tre centrali presenti a Vallezza permetteva, alternando turni di riposo a turni di estrazione, di pompare petrolio da 20 – 25 pozzi diversi.

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La grande ruota eccentrica in primo piano, azionata dal potente motore diesel che si vede sullo sfondo, ha il compito di trasformare il movimento rotatorio continuo, al fine di spostare l'asse di rotazione dei ganci da collegare ai pozzi.

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La lavagna dei turni serviva ad annotare le fasi di attività e di riposo dei diversi pozzi, in modo tale che gli operai, impegnati in turni, per 24 ore su 24, potessero agganciare i pozzi da cui estrarre e sganciare i pozzi che dovevano “riposare”. La fase di inattività di un pozzo era necessaria per permettere alla trappola di idrocarburi di rigenerarsi.

All’esterno della centrale di pompaggio un sistema di ganci permetteva agli operai di collegare e scollegare il sistema in movimento dell’eccentrica ai diversi pozzi presenti nella vallata. Tutti i materiali usati nella costruzione di questo sistema erano di recupero. In particolare il metallo usato per il perimetro della centrale proveniva dalle piste di atterraggio degli aerei della Prima Guerra mondiale.

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Il istema di connessione tra i pozzi e la centrale.

Il pozzo, collegato da un sistema di aste, cavi metallici e carrucole collegava la centrale ai singoli pozzi nella vallata e nel bosco, arrivava a profondità che si aggiravano intorno ai 600 metri, esso era dotato di un cavalletto di estrazione che azionava la pompa e permetteva al petrolio e al gas di risalire lungo il condotto. Due valvole, collegate ad apposite condutture, permettevano di separare il gas dall’olio e di portare i due prodotti ai serbatoi di stoccaggio collocati nella parte più in basso della valle.

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Prima dei pionieri. Pozzi di petrolio scavati a mano.

Quando, poco prima della metà del XIX secolo, ha inizio la caccia all'oro nero nell'Appennino Emiliano, il sito di Neviano de' Rossi e Vallezza è al centro degli interessi dei primi esploratori di Petrolio. I punti in cui saggiare il terreno alla ricerca di idrocarburi non sono ancora guidati da studi gravimetrici e sismici, e il terreno viene perforato in base a deduzioni logiche o fortunate intuizioni, nelle imediate vicinanze delle manifestazioni superficiali. Il primo pozzo scavato Vallezza porta la data del 1830.

I pozzi petroliferi, in questa fase, sono eseguiti a mano, con strumenti rudimentali e tecniche di perforazione simili a quelle usate per i pozzi dell'acqua. Le condizioni in cui lavorano i cosiddetti "Pozzari" sono estremamente precarie: si scava nella totale assenza di fonti luminose, praticamente immersi in una miscela di fango e idrocarburi, dalla quale esalano gas nocivi. L'abate Antonio Stoppani, nel volume “Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali la geologia e la geografia fisica d'Italia” (1876), descrive la tecnica di perforazione, in cui i Pozzari, assicurati a una corda si calano all'interno del pozzo. Egli parla di turni di due operai che si alternano velocemente per resistere alle condizioni estreme di lavoro. Il primo rimuove con il piccone una piccola quantità di terra e risale in superficie, il secondo scende per riempire il secchio di acqua, fango e idrocarburi e risale, per ultimo viene tratto in superficie il secchio, che viene assegnato ad altri operai per separare, con metodi rudimentali gli idrocarburi dall'acqua e dal fango.

Dal 1905 al 1933. Il metodo di perforazione Canadese-Pensylvano.

Dal momento della fondazione della SPI si introducono a Vallezza impianti di perforazione a percussione che riprendono il modello americano.
Gli impianti più arcaici sono del tipo "Canadese" e il loro funzionamento è basato sull'impiego di uno scalpello a punta o a lama che viene assicurato in fondo ad un'asta con snodo. Grazie a una puleggia fissata al vertice di una "capra" (rudimentale torre di perforazione composta da tre aste collegate alla sommità), che più tardi viene sostituita da una torre chiamata "Derrick", lo scalpello è sollevato e fatto ricadere sul terreno in modo da perforarlo. I detriti della perforazione sono estratti a intervalli, grazie a uno speciale scalpello cilindrico affilato in basso e dotato di valvola: la “cucchiara”. Questa viene inserita nel foro con la valvola aperta, in modo che i detriti possano penetrare nella parte cava del cilindro. Una volta riempito il cilindro la valvola viene chiusa, e, estreando la cuccchiara dal pozzo, vengono rimossi i detriti.

Nel 1905 i motori che imprimono il movimento al bilanciere sono macchine a vapore alimentate a carbone, ma già nel 1911 Luigi Scotti compie un'innovazione importante, investendo in un impianto di separazione del gas dall'acqua che permette di conservare il gas di estrazione. A questo punto egli fa convertire i motori per i pozzi in perforazione, alimentandoli con il gas estratto dalla miniera.

Negli anni Venti la SPI introduce i nuovi sistemi di perforazione del tipo chiamato "pensilvano”. Il funzionamento è del tutto analogo a quello degli impianti “canadesi” ma lo scalpello o la cucchiara sono movimentati non da aste avvitate, bensì da robuste corde in canapa, che vengono in seguito sostituite da cavi metallici. A Vallezza vengono impiegati anche impianti ibridi, del tipo definito “canadese-pensilvano” oppure “canadese combinato”, un sistema più compleso che fa lavorare gli scalpelli sia con aste rigide che con funi. Nonostante a partire dalla metà degli anni trenta la tecnologia muti radicalmente, i “canadesi combinati” sono impiegati ancora, sia pur raramente, alla fine degli anni quaranta. 

Dopo il 1933. Gli impianti di perforazione Rotary

Nel 1933, lo stesso anno della scomparsa del fondatore Luigi Scotti, la SPI, sotto la gestione della Standard Oil & Co importa il primo impianto “Parkersburg National Portable”, introducendo a Vallezza l’innovativo sistema di perforazione “rotary”, che consente di trivellare a profondità maggiori rispetto ai 600 metri consentiti dagli impianti più arcaici.
Il terreno viene perforato grazie a uno strumento chiamato “scalpello a tre coni”. Questo presenta tre teste diamantate e riesce a perforare senza problemi anche le rocce più dure. La perforazione avviene per rotazione della testa che è fissata all’estremità di un tubo, fatta ruotare e contemporaneamente spinta contro la roccia sul fondo del pozzo, grazie a un sistema di aste che vengono avvitate l'una sull'altra ogni 9 metri, man mano che si penetra nel terreno. Il “fango di perforazione” o “fango di circolazione” ha qui un ruolo importantissimo. Innanzitutto esso serve a mantenere il condotto in pressione, poi ha il compito di portare in superficie i detriti generati dallo scalpello, infine esso in fase di discesa ha il compito di raffreddare le teste dello scalpello mentre quando risale serve a lubrificare l'impianto.

 

 

Che cosa è il petrolio?

 

 

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fig. 1. Campioni di petrolio di Vallezza. Colori e densità differenti indicano la caratteristica di ogni pozzo

(foto A. Ciampolini).

Petrolio e gas naturale, come il carbone,  sono fossili combustibili. Si sono prodotti nell'arco di milioni di anni a partire dai resti di organismi animali e vegetali che hanno abitato il nostro pianeta in tempi antichissimi. Per questo motivo sono definiti: “fonte di energia non rinnovabile”: il loro processo formativo impiega infatti molte migliaia di anni per giungere a compimento, e la terra non può contenerne riserve illimitate.

Le sacche di petrolio, racchiuse all'interno di vere e proprie "trappole" geologiche, sono destinate a esaurirsi, a partire dall'inizio dell’estrazione, esattamente come è avvenuto nella miniera di Vallezza.

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Nel dopoguerra la Siap, proprietaria della Società Petrolifera Italiana, cambia ragione sociale in: Esso Italiana.
Grazie alla gestione del nuovo direttore, l'ingegnere E. C. Borrego, e alla dedizione di tutto il personale, gli impianti e la raffineria sono ricostruiti molto rapidamente e tornano in breve all’efficienza, ma i tempi in cui Vallezza era una delle più importanti industrie italiani era passata e molti dei pozzi, sfruttati eccessivamente durante la guerra, erano ormai esauriti.

RicostruzioneOfficine

La ricostruzione delle officine nell'immediato dopoguerra.

Nel 1949 alcuni permessi di ricerca nell'area padana vengono negati dal governo la Spi scopre dell’intenzione di creare un monopolio statale petrolifero nella Val Padana. Un momento di tensione in cui Esso Italiana, maggior azionista della Società, minaccia di ritirarsi dalle ricerche in Italia e dalla stessa SPI. Nel 1954 la Società Petrolifera Italiana viene posta in liquidazione ed acquisita da un gruppo di industriali milanesi presieduti da Achille Rivolta. La Esso Italiana era stata costretta ad una drastica riduzione del personale della miniera di Vallezza, mantenendo soltanto la gestione delle miniere attive, due soli impianti di perforazione, e la conduzione della vecchia raffineria.

I nuovi proprietari riprendono l’attività di perforazione sia in pianura che nell’Appennino e anche nella Repubblica di san Marino, sebbene con scarsi risultati.  Anche la ricerca ha un nuovo momento di crescita e nel 1964 la SPI è una tra le prime società italiane a richiedere permessi per esplorazioni in mare“off shore”, ad Ancona, Porto Recanati, Sangro e Rodi Garganico.I permessi vengono accordati, ma la società non riesce a farsi carico della mole di lavoro assunta, ed è costretta a cercare un nuovo partner nella francese Elf, a cui cede il 95% dei 4 permessi. Nonostante le risorse a disposizione siano limitate, durante la gestione del gruppo milanese, si perforano 149 pozzi e viene ampliata la raffineria di Fornovo, che apre alla lavorazione del greggio estero. La nuova raffineria viene conclusa nel 1959 e la sua produzione comprende anche solventi chimici, acqua ragia minerale e il “PJ.4” per l’Aeronautica.

Tra il 1955 e il 1965 il capitale della SPI raddoppia, eppure i titolari della società sono costretti a cedere il 52% del pacchetto azionario alla Phillips Petroleum. L’obiettivo della nuova gestione è trasformare la SPI in un polo di raffinazione nell’area mediterranea, sfruttando i giacimenti produttivi che  Phillips Petroleum possedeva in Nord Africa. Nel 1962, si decide la costruzione di una nuova raffineria ad Arcola, in provincia di La Spezia.che permette di utilizzare anche un oleodotto della Nato che raggiungeva Collecchio (Parma).
Nel 1965 la vecchia raffineria di Fornovo, non più utilizzata, si trasforma in deposito, l’industria mineraria appare in declino e si iniziano a chiudere numerosi pozzi non più attivi. Cinque anni più tardi inizia lo smantellamento della Raffineria di Fornovo, che risparmia soltanto la palazzina liberty, sede storica della SPI.

OfficineChiusura

Il Cantiere di Vallezza negli anni della chiusura, dopo la conclusione delle attività estrattive.

Nel 1972, in seguito alla nazionalizzazione dei giacimenti nordafricani Spi passa alla proprietà del Gruppo Moratti, con partecipazione quasi paritaria di Eni, Ente Nazionale Idrocarburi, ma l’attività estrattiva nell’area di Vallezza è sempre di minore rilevanza: dopo la perforazione infruttuosa del pozzo n. 201, si delibera la chiusura mineraria dei pozzi di Vallezza. La gestione Moratti si conclude nel novembre 1986, quando gli azionisti deliberano la ristrutturazione della Società, e alla SPI viene concessa la sola attività di esplorazione, produzione e commercializzazione di idrocarburi. L’anno successivo, la direzione SPI passa ad Agip. Nel dicembre 1994 il giacimento di Vallezza viene dichiarato esaurito e, dopo aver provveduto alla chiusura mineraria di tutti i pozzi e alla bonifica dei siti, la concessione omonima, cessa di esistere.

Nel 2004-2005 Gas Plus Italiana rileva dal gruppo Eni le principali attività e proprietà della Società Petrolifera Italiana , tra cui l’area petrolifera di Vallezza.

Bibliografia

Manlio Magini, L’Italia e il petrolio tra storia e cronologia, 1970.
A.A.V.V, Spi. Settant'anni, 1975.