A partire dal 1900, con l'inizio degli studi geologici, si fa strada l'ipotesi che l’oro nero non si trovi più solo dove affiora dal terreno, ma all’interno di particolari strutture geologiche nel sottosuolo definite “trappole”. Entra in scena la geologia, e la "regola" su cui si basano le prime ricerche è scavare in presenza di due elementi: una “roccia serbatoio” che contiene gli idrocarburi, e una “roccia di copertura” che ne impedisce l’affioramento.

A Vallezza si impiegano a partire dagli anni dieci del XX secolo, metodi estrattivi all’avanguardia, e Luigi Scotti investe i finanziamenti ottenuti dallo stato anche per incentivare gli studi geologici. 

Gli impianti a Percussione.
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A partire dal 1907 la Spi inizia a usare i primi impianti di perforazione a percussione. Un sistema estremamente semplice ma efficace, specie quando si è in presenza di depositi alluvionali e rocce incoerenti, e quando si raggiungono profondità non elevate. Nella miniera di Vallezza, fino al 1927 vengono utilizzati impianti del tipo “canadese”.
Il loro funzionamento è basato su un attrezzo tagliente chiamato “scalpello”, guidato nel movimento di percussione da aste metalliche.
A partire dal 1927 vengono introdotti dalla Spi i più innovativi metodi di perforazione “pensilvani”. Il funzionamento è del tutto analogo a quello degli impianti “canadesi” ma lo scalpello o la cucchiara vengono sollevati e fatti cadere da robuste corde in canapa, che sono poi sostituite da cavi metallici. A Vallezza vengono impiegati anche impianti ibridi, del tipo definito “canadese-pensilvano” oppure “canadese combinato”, che fanno operare gli scalpelli sia con aste rigide sia con corde in canapa.

Gli impianti Rotary.
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Nel 1933, lo stesso anno della scomparsa del fondatore Luigi Scotti, la SPI, sotto la gestione della Standard Oil & Co, viene importato il primo impianto “Parkersburg National Portable”, introducendo a Vallezza l’innovativo sistema di perforazione “rotary”. Il 31 dicembre 1934 viene inaugurato il pozzo 116, che raggiunge la profondità di 660 metri con la tecnica rotary. Con questo sistema, che consente di trivellare a profondità elevate, prossime ai 5000 metri e irraggiungibili dai vecchi impianti a percussione, il terreno viene perforato grazie a un utensile tagliente chiamato “scalpello a tre coni”.

L'estrazione centralizzata. Una tecnica unica
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Quando il pozzo intercetta la trappola di petrolio, gli idrocarburi fuoriescono dal foro e si espandono in superficie. Il pozzo viene intubato per l’estrazione e, quando la pressione del petrolio e del gas non sono sufficienti a farli risalire all’interno dei tubi sino alla superficie, si monta un sistema di pompe sia in superficie, che in fondo al pozzo, tali da estrarre artificialmente gli idrocarburi.
Nella miniera di Vallezza, il pompamento avveniva secondo due differenti tecniche.
La prima, più semplice, prevedeva l’utilizzo di una pompa singola azionata da un motore, che permetteva l’estrazione di petrolio da un solo pozzo.
La seconda e più importante tecnica di pompaggio prevede invece un sistema meccanico centralizzato, realizzato completamente in loco. Con questa tecnica un elevato numero di pozzi può essere collegato tramite funi e aste a una “centrale di pompaggio”, dove un motore collegato a un volano eccentrico, riesce, con una speciale tecnica, a controllarne l’estrazione contemporanea di più pozzi.

Il ruolo della geologia nelle esplorazioni
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Se alla fine del XIX secolo la ricerca petrolifera si basava principalmente su alcune felici intuizioni da parte dei pionieri, a partire dal 1900 le ricerche geologiche divengono decisive per la ricerca del petrolio e i loro studi progrediscono in maniera significativa. 

Nella miniera di Vallezza viene attribuita da sempre importanza agli studi geologici, al punto da realizzare sin dagli anni Venti, un laboratorio geologico direttamente in loco, all’interno delle officine della Società Petrolifera. Gli studi preliminari per l’individuazione di un giacimento riguardano la ricerca di sedimenti e fossili. Le indagini geofisiche costituiscono il secondo step di studio. A partire da questa disciplina è possibile approfondire, prima di effettuare sondaggi e perforazioni, la composizione del sottosuolo. La magnetometria, la gravimetria, e la sismica a riflessione sono i tre principali metodi geofisici che consentono di scoprire un possibile giacimento petrolifero.